Negli ultimi anni, la disciplina urbanistica (cioè l’insieme delle norme specialistiche e delle tecniche che consente agli enti locali di programmare e di pianificare, tramite appositi strumenti, quali ad esempio il PRG, lo sviluppo urbanistico dei territori sottoposti alla loro amministrazione), ha fatto registrare l’imponente ascesa di tecniche di pianificazione, conosciute come tecniche di tipo perequativo, in aggiunta (ma non in contrapposizione) ai tradizionali sistemi basati invece sulla zonizzazione del territorio (disciplinati direttamente dalla Legge n.1150/1942, unica legge quadro urbanistica oggi vigente nell’ordinamento giuridico statale).
A) Perché si sono diffuse le tecniche di perequazione?
Le ragioni dello sviluppo di queste tecniche urbanistiche è da rintracciare nella crisi del modello classico di pianificazione.
Infatti, mediante il tradizionale sistema di zonizzazione (art.7 della L.1150/1942), l’ente pianificatore, dopo aver suddiviso il territorio (attraverso la redazione del P.R.G.), in diverse “Zone“, ognuna delle quali avente lo scopo di rappresentare una diversa destinazione d’uso delle aree in esse ubicate (zona per l’edificazione, zona per i servizi pubblici, zona agricola), procede ad attuare le disposizioni espresse dal Piano tramite l’uso di ulteriori strumenti urbanistici, di livello secondario al P.R.G. (es. i piani particolareggiati, i piani di recupero urbano, i piani per l’edilizia popolare, i piani per gli insediamenti produttivi ecc…).
In tal modo, l’ente, da un lato, dirige e vigila sul corretto ed ordinato sviluppo edilizio del territorio e, dall’altro, pone in essere tutte le misure necessarie alla realizzazione di quella che oggi viene comunemente chiamata “città pubblica” (ossia, assicura la dotazione minima di standards urbanistici al territorio).
Tramite il sistematico (e doveroso, in quanto prescritto dalla legge) utilizzo di questo sistema, però, nel corso dei decenni, si sono sviluppati delle evidenti distorsioni che hanno generato alcune problematicità:
la prima riguarda la crescente insostenibilità, da parte dei Comuni, nel riuscire ad acquisire (ed a mantenere) gli spazi e le aree necessarie per dotare la città delle opere pubbliche e dei servizi pubblici. Questo perché, nell’espropriare i terreni di proprietà privata sui quali realizzare gli interventi sopra citati, il Comune deve versare al privato espropriato, come forma di compensazione per la perdita subìta, un indennizzo monetario che, nel corso degli ultimi decenni, è diventato sempre più elevato, a causa del susseguirsi di interventi legislativi e giurisprudenziali che hanno riguardato la revisione dei parametri da applicare per la sua corretta determinazione;
la seconda consiste nella disparità di trattamento e sperequazione che la zonizzazione va inevitabilmente a generare tra le diverse tipologie di proprietà fondiaria: alcuni soggetti ricevono vantaggi dall’edificabilità dei suoli; per converso, altri risultano del tutto privati dello ius aedificandi in ragione dell’imposizione di limitazioni di natura vincolistica o della diminuzione della capacità edificatoria derivante dallo zoning.
B) Le tecniche di perequazione, pertanto, mirano a fornire una soluzione concreta ai pianificatori alle due problematiche sopra rappresentate. Attraverso quali meccanismi?
La perequazione e le tecniche impiegate per la sua realizzazione hanno lo scopo principale di rendere uguali, di fronte alle scelte compiute dall’ente pianificatore, i proprietari delle aree interessate allo sviluppo urbanistico; tutto questo per evitare le discriminazioni di trattamento (e il possibile ingenerarsi di contenzioso) che sorgono ineluttabilmente con l’applicazione del modello pianificatorio tradizionale, laddove si suddividono (e si “classificano”) le aree sotto distinte tipologie urbanistiche, incidendo quindi sui valori intrinseci delle suddette aree.
Con le tecniche perequative, invece, questa problematica viene superata, conferendo ad ogni soggetto interessato alla trasformazione urbanistica, in qualità di proprietario dei beni immobili, eguali vantaggi sotto il profilo della omogenea attribuzione di diritti edificatori, direttamente ricollegata alla mera titolarità della proprietà fondiaria.
In altre parole, tutte le aree interessate dall’intervento urbanistico vengono parificate, a prescindere dalla reale destinazione di zona derivante dai vincoli conformativi attribuiti dal Piano, in modo da incentivare la collaborazione di tutti i proprietari nella realizzazione delle scelte programmatorie. In tutto questo, anche il Comune ottiene dei benefici, riuscendo ad acquisire le aree destinate ai servizi ed alle opere pubbliche senza ricorrere al procedimento di esproprio, ma mediante la cessione gratuita delle aree in cambio dell’esercizio dei diritti edificatori nascenti dalla perequazione.
C) Perequazione ristretta e perequazione allargata.
Le esperienze realizzate finora da vari Comuni italiani che hanno adottato le tecniche perequative nell’espletamento delle proprie funzioni pianificatorie hanno portato a delineare una distinzione tra due diversi modelli di perequazioni (entrambi accomunati comunque dalla parificazione delle proprietà fondiarie):
la perequazione ristretta (o per comparti) che consiste nell’individuare, tramite la pianificazione attuativa, delimitate aree di intervento (dette, appunto, comparti). All’interno di questi comparti si attua la perequazione, conferendo un’eguale capacità edificatoria a tutte le aree oggetto dell’intervento; capacità non esprimibile individualmente, ma soltanto attraverso l’acquisizione, da parte dei soggetti proprietari delle aree edificabili, dell’indice di edificabilità assegnato ai proprietari delle aree individuate dal piano perequativo come aree di interesse pubblico (e dunque insuscettibili di trasformazione). In questo modo, dunque, i proprietari delle aree dove è possibile costruire devono necessariamente coinvolgere (per “acquistarne” la volumetria) gli altri proprietari dei terreni destinati alle opere pubbliche. Questi ultimi, trasferendo la volumetria in loro possesso e “monetizzando” di guisa i propri diritti edificatori, possono così cedere gratuitamente l’area di loro proprietà al Comune, realizzando di fatto, mediante una sorta di mega-consorzio, le scelte pianificatorie.
La perequazione estesa, che invece coinvolge tutto o gran parte del territorio comunale (e non un singolo comparto), si attua mediante la mera distinzione tra aree destinate all’edilizia e aree di conservazione. Entrambe però (come nello schema delle tecniche perequative) vengono dotate di diritti edificatori. I proprietari delle aree di conservazione possono “sfruttare” la volumetria in dotazione, applicandola su un altro fondo (c.d. fondo accipiente), identificato in un’area prevista come aree di trasformazione (c.d. area di atterraggio). In questo modo, l’intero intervento urbanistico si attuerà mediante la mera iniziativa dei privati, mediante il meccanismo dell’atterraggio.
D) Perché la perequazione pone dei dubbi di legittimità costituzionale in riferimento al principio di legalità ed all’art.42?
Dopo aver chiarito le differenze tra i vari tipo di perequazione e sorvolando sulle questioni riguardanti la distinta tematica della compensazione e della premialità (che saranno oggetto di ulteriore approfondimento), è opportuno concludere facendo cenno ad una delle più incerte problematiche sul tema in oggetto, ossia se sia o non sia necessario prevedere una copertura legislativa per l’adozione delle tecniche perequative.
In primo luogo, occorre sapere che la Legge Urbanistica n.1150/1942, all’art.23 definisce l’istituto dei comparti, individuandolo come uno degli strumenti di attuazione delle previsioni del Piano. Tale norma suggerisce in realtà il consorziamento tra i proprietari per una corretta definizione dei vantaggi derivanti dalla trasformazione urbanistica del comparto.
Ciò sarebbe a nostro avviso sufficiente per legittimare il ricorso alle tecniche perequative in sede di attuazione, anche in assenza di ulteriori indicazioni nella legislazione statale o regionale, se non fosse che molte Regioni si sono già dotate di moderne leggi urbanistiche che disciplinano compiutamente gli strumenti perequativi che possono interessare l’attività tecnica dei Comuni.
Il problema, quindi, resta aperto per tutti quei Piani Regolatori (e non dunque per i piani attuativi) che, in maniera sempre maggiore, fanno uso delle tecniche perequative in assenza di una specifica copertura legislativa nazionale o regionale.
Ciò andrebbe di fatto a confliggere con l’art.42 Cost. e con il principio di legalità che informa tutta l’attività amministrativa.
La questione in esame sarà oggetto di ulteriore approfondimento in altra sede; qui giova concludere affermando che, in disparte dai dubbi ancora esistenti sul pieno approdo nel panorama urbanistico delle tecniche di perequazione urbanistica, queste rappresentano un validissimo strumento a disposizione delle Amministrazioni per superare lo stallo e la crisi del modello tradizionale di zonizzazione, per evitare l’iniqua distribuzione di vantaggi e svantaggi tra i proprietari fondiari e assolvere con maggiore efficienza al proprio ruolo istituzionale di pianificazione e di realizzazione delle trasformazioni urbanistiche.